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Il primo disco di Luigi Mitola, 13 brani per “fotografare un momento”

Tra canzoni autografe, cover e pezzi strumentali

“Dopo anni passati a suonare e interpretare la musica degli altri sento la necessità di pubblicare qualcosa di mio”. Parola d’autore, è il caso di dire. Anzi: d’autore, arrangiatore, cantante, chitarrista, mandolinista e armonicista. Il primo album da leader di Luigi Mitola è un manifesto della sua poliedricità artistica, come conferma il titolo del lavoro discografico che reca il nome stesso del suo creatore.

UN DISCO IN TRE PARTI. Pubblicato da poche settimane dall’etichetta “La Musica”, da febbraio disponibile sulle principali piattaforme, registrato presso i Combo Studios di Lucera e gli EL Home Studio di Foggia, il disco del musicista foggiano – con una lunga carriera di live e incisioni alle spalle, non di rado al seguito di artisti importanti – si compone di tre parti che, neanche a dirlo, riflettono le sue esperienze artistiche principali. Quattro brani inediti cantati, quattro esecuzioni unicamente strumentali e quattro cover di prestigio: dodici canzoni più un “reprise” suonato con la chitarra a dodici corde, in pieno stile età dell’oro del rock. Questa la radiografia di un lavoro che, nelle parole dello stesso Mitola, ha avuto “una gestazione travagliata a causa delle limitazioni della pandemia”.

ELEANOR RIGBY. “Abbiamo iniziato a lavorarci nel 2021, quando era ancora difficile accedere in studio di registrazione – ha raccontato in merito l’artista – tanto che le parti di chitarra sono stare realizzate in casa. Ci sono state tante interruzioni ma nel dicembre del ’21 abbiamo concluso la fase di registrazione: c’è voluto un altro anno, poi, per missaggio e mastering. La prima canzone registrata, lo ricordo bene, è stata Eleanor Rigby, un pezzo al quale sono molto legato”. E il capolavoro firmato Lennon/McCartney – eseguito in chiave strumentale in uno stile essenziale ma tutt’altro che banale – è solo una delle reinterpretazioni che compongono il lavoro.

EMOZIONI FORTI DEL DISTACCO. “Addije, addije amore”, ad esempio, tredicesima traccia del disco, è una riproposizione di una cantata tradizionale abruzzese, resa nota dal grande Modugno e rivisitata dal musicista foggiano. “Un brano che mi è sempre piaciuto molto – racconta – perché parla di una separazione, di un allontanamento, di emigrazione: racchiude un po’ la nostra tradizione con quelle emozioni forti legate al distacco”. Altrettanto importante è la traslitterazione strumentale de “L’ombra della luce” di Franco Battiato: “una canzone – spiega – che ho conosciuto direttamente in versione orchestrata nel lontano 1995 e che all’epoca mi colpì molto. Qui ho voluto azzardare, sappiamo bene che il testo è fondamentale, ma con il contrabbasso con l’arco penso di averne dato una versione particolare e personale”.

NON SOLO BLUES. “Tutte le altre canzoni poi – racconta ancora Luigi Mitola, entrando nel merito di quei brani cantati e frutto della sua esperienza più diretta – sono nate nel giro di un paio di anni e rappresentano vari momenti della mia vita. Non ho pensato molto all’omogeneità degli stili, dei generi, delle esecuzioni. Ho voluto mettere tutto insieme per dare uno spaccato di quello che sono”. Nonostante un’evidente venatura blues, infatti, il lavoro discografico si muove su più fronti, toccando folk e rock con naturalezza e scegliendo per i pezzi cantati la lingua italiana: “una via sicuramente non facile”, come chiosa lo stesso artista. Per il resto, il disco rappresenta pienamente il periodo in cui è venuto fuori e questo, per Luigi Mitola, non è di certo un dettaglio: “i dischi devono uscire velocemente – conclude – perché devono fotografare un momento della vita”.

di Alessandro Galano


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